Muoversi 1 2022
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LA TRANSIZIONE E LA “TEORIA DELLA TRAVERSA”

LA TRANSIZIONE

E LA “TEORIA DELLA TRAVERSA”

di Marco Marcatili


Marco Marcatili

Responsabile sviluppo
e sostenibilità,
Nomisma

Nonostante le difficoltà della COP26 (26ma “Conference of Parties” tenutasi a Glasgow nella prima metà del novembre scorso), la transizione energetica, l’economia circolare, gli investimenti ESG continueranno ad imprimere un’inedita accelerazione al cambiamento dei sistemi produttivi e organizzativi della nostra società.

A sei anni di distanza, diversi dei traguardi fissati a Parigi sono ancora ben lontani dall’essere raggiunti. La scarsità dell’offerta di energia, specie di gas, e l’esplosione dei prezzi, che hanno contagiato quelli dell’energia elettrica, inducono molti Paesi ad adottare soluzioni opposte rispetto al proposito di contenere il riscaldamento globale e contribuire a contrastare gli eventi estremi

Le “Conferenze delle Parti” sono state istituite nel 1992 all’Earth Summit di Rio de Janeiro, che portò alla firma da parte di 197 Stati della “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC). Il Trattato non fissava limiti obbligatori e legalmente vincolanti ai singoli Stati per ridurre le emissioni di gas serra, ma prevedeva la possibilità che le parti firmatarie potessero adottare in apposite conferenze annuali – le COP – ulteriori atti che introducessero limiti obbligatori. Nel 1995 la COP3 – che vide la firma del Protocollo di Kyoto – impegnava i firmatari (soprattutto l’Europa, ma non Stati Uniti e Cina) a ridurre le emissioni. Nel 2015 la COP21 – con la firma dell’Accordo di Parigi – registrò l’impegno della quasi totalità dei Paesi del mondo a ridurre le emissioni per contenere il riscaldamento entro almeno la soglia dei 2 gradi.

L’aggravarsi dei cambiamenti climatici, come attestato dall’ultimo Rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), i grandi piani messi in campo dalla UE fino al pacchetto “Fit for 55” che propone la riduzione delle emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990 e l’impegno di molti paesi a conseguire una piena neutralità carbonica entro il 2050, sono tutti elementi che hanno portato ad assegnare alla COP26 di Glasgow, più delle precedenti edizioni, grandi speranze e un pesante fardello di responsabilità almeno per tre motivazioni.

La prima arriva dall’Agenzia per l’ambiente dell’Onu (United Nations Environment Programme, UNEP), che ha dichiarato il 2021 come l’anno in cui il cambiamento climatico si è maggiormente manifestato come una seria minaccia per l’umanità, non solo a lungo termine, ma nel “qui e ora” con impatti che colpiscono il mondo con una nuova ferocia.

La seconda è che la Conferenza delle Parti era attesa ufficialmente come momento di revisione degli obiettivi prefissati dagli Stati membri durante la COP21 del 2015, in particolare del macro-obiettivo comune di limitazione dell’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi.

La terza è che si trattava del primo vertice internazionale delle Nazioni Unite dal 2019, con tutto un portato valoriale e simbolico ricco di attese, in quella finestra autunnale che sembrava dare una apparenza di normalità e quasi una prospettiva post-pandemica.

John Richard Hicks, premio Nobel per l’economia nel 1972 e autore della teoria della traversa

A sei anni di distanza, diversi dei traguardi fissati a Parigi sono ancora ben lontani dall’essere raggiunti. La scarsità dell’offerta di energia, specie di gas, e l’esplosione dei prezzi, che hanno contagiato quelli dell’energia elettrica, inducono molti Paesi ad adottare soluzioni opposte rispetto al proposito di contenere il riscaldamento globale e contribuire a contrastare gli eventi estremi.

All’inizio di ottobre 113 Paesi su 191 (responsabili del 49% delle emissioni globali) avevano presentato i loro piani di azione aggiornati, con la previsione di una riduzione delle loro emissioni entro il 2030 del 12%. Considerando anche i restanti 78 paesi (ovvero del 51% delle emissioni globali) le emissioni sono previste segnare una crescita del 16% fino al 2030.

Tra i Paesi ritardatari nell’allineare gli obiettivi, la determinante Cina (responsabile per quasi un terzo delle emissioni di gas serra a livello mondiale) punta ancora a costruire centrali a carbone. L’India si è impegnata a limitare le emissioni solo entro 50 anni. Solo 12 Stati hanno aderito alla “Beyond Oil and Gas Alliance” (BOGA), l’accordo fra Paesi per uscire dalla produzione di petrolio e gas, attraverso obiettivi tangibili e misurabili, lanciato proprio alla COP26 da Danimarca e Costa Rica.

Se la partecipazione a questi vertici di oltre 190 leader del mondo per due settimane è sintomo della loro importanza, i mancati risultati attesi negli ultimi anni e la continua crescita delle emissioni globali denotano l’insoddisfazione della comunità internazionale per questi “rituali” con assenze di Paesi a forte interesse energetico e dinamismo economico, tra cui Cina, India, Arabia Saudita e Russia. Di fronte ad un’accresciuta consapevolezza della società e della complessità del fenomeno, gli esponenti istituzionali hanno di fatto trasformato le COP da “passaggi” essenziali alla base di scelte comuni internazionali, da tradurre poi in provvedimenti legislativi nei singoli Stati, a ipocrite “passerelle” dove un velleitario ambientalismo sembra scontrarsi con un’anacronistica idea di crescita economica che produce fratture insostenibili: tra la l’economia e il sociale, tra l’umano e l’ambiente, tra la produzione e la finanza, tra la competizione e la collaborazione. Oggi non sappiamo ancora bene in che cosa consisterà la prossima crescita economica, ma siamo molto più consapevoli che una crescita che non incorpora salute, ambiente e relazioni non è sviluppo.

Se la partecipazione a questi vertici di oltre 190 leader del mondo per due settimane è sintomo della loro importanza, i mancati risultati attesi negli ultimi anni e la continua crescita delle emissioni globali denotano l’insoddisfazione della comunità internazionale per questi “rituali” con assenze di Paesi a forte interesse energetico e dinamismo economico, tra cui Cina, India, Arabia Saudita e Russia

La provocazione di Greta Thunberg “siamo stufi dei vostri bla-bla-bla” colpisce ancora nel segno, ma come suggerisce il Prof. Stefano Zamagni, per ridisegnare un processo trasformativo occorre prendere spunto dalla “teoria della traversa” sviluppata dall’economista John Hicks negli anni ’70 del secolo scorso e troppo presto abbandonata del mainstream. L’idea di base di tale teoria è che in una transizione è pericoloso prendere in considerazione il solo punto di arrivo. Quando i costi della transizione per passare dal vecchio al nuovo equilibrio eccedono una certa soglia, potrebbe accadere che forze e interessi si organizzino per contrastare quella riforma di per sé ottimale.

Come conciliare, allora, il contrasto ai cambiamenti climatici con obiettivi di sviluppo industriale? Come educarci a scegliere soluzioni e investimenti in grado di migliorare contemporaneamente (e non separatamente) l’economia, l’umano, il sociale e l’ambiente?

L’evoluzione storica dentro cui siamo immersi stimola la complessità tecnica e potrebbe aumentare la capacità di produzione del benessere, ma necessita di un sovrappiù di pensiero culturale. Sappiamo, infatti, che la linfa attraverso cui si muovono le persone, le organizzazioni, i territori non è costituita da tecnicismi, ma dalla sfera culturale e pre-politica.

Già in vista della COP27, che si terrà nel 2022 in Egitto, la sfida è muoversi insieme per produrre una cultura come processo di rinegoziazione dei rapporti tra economia e società, come un elemento necessario per poter andare verso il futuro, come strumento per affrontare la complessità dell’ambiente in cui viviamo. Dalle “Conference of Parties” alle “Culture of Parties” può essere un traguardo comune: per l’Europa (responsabile di solo l’8% delle emissioni globali) non sarà solo questione di percentuali e numeri target, ma di coltivare un ruolo di Climate Diplomacy, “arbitrato sociale” tra Paesi internazionali e promozione di esperienze all’avanguardia nella transizione.